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Gli ultimi anni non hanno certo mostrato una situazione né semplice né tanto meno stabile per il settore della moda, anzi ancora oggi, l’idea e non solo, è quella di un comparto in sofferenza a causa di una notevole diminuzione delle vendite, e per le aziende quotate in borsa, le perdite di capitali sono state significative. L’ultimo scossone che ha fatto tremare il mondo della moda, è stato recentemente causato, dalle politiche tariffarie introdotte dall’amministrazione Trump, che hanno gettato un’ombra lunga sul futuro dell’industria dell’abbigliamento a livello globale. I dazi USA, avranno conseguenze che si ripercuoteranno, inevitabilmente, sui costi di produzione e sui i prezzi al consumo, mettendo a rischio la competitività delle aziende in Europa ma anche negli Stati Uniti.
Cosa accadrà e cosa cambierà per il settore del lusso, del fast fashion ed in particolare della moda made in Italy?
I dazi imposti da Trump, noti come “Liberation day Tariffs”, porteranno a riscrivere le regole del settore? Le aziende dovranno destreggiarsi in un panorama economico complesso, trovando nuove strategie per arginare gli effetti negativi dei dazi, assecondando i cambiamenti del mercato globale. Con dazi imposti sino al 54% sula Cina, 46% sul Vietnam, al 23% sul Pakistan e 20% sull’Unione Europea, l’impatto su un settore così globalizzato, come quello della moda, è potenzialmente enorme.
Secondo la United States Fashion Industry Association, oltre il 60% dell’abbigliamento importato in USA nel 2024 proviene da Cina, Vietnam e Bangladesh, le tre potenze mondiali della produzione del fast fashion. Ovviamente la decisione di imporre su questi Paesi dazi che vanno dal 34% al 46%, rappresenta un colpo durissimo per la struttura di tutta la filiera. Chi rischia maggiormente in un panorama del genere, sono le catene del fast fashion, il cui mantra si basa sulla velocità, costi bassi e grandi volumi. Marchi come Temu, Shein, Zara o H&M, le cui aziende si riforniscono principalmente dalla Cina, sono particolarmente esposte all’incremento dei dazi. Di conseguenza dovranno ripensare molte cose, come sopportare l’aumento dei costi e trasferirli ai consumatori, con il rischio di perdere appeal sui prezzi, pensare magari di trasferire temporaneamente i luoghi di produzione, cosa non facile. E’ chiaro che l’introduzione di dazi aggiuntivi, porterà all’aumento dei costi, con un conseguente rialzo dei prezzi al consumo. Queste aziende dovranno rivedere i prezzi, le loro strategie produttive e logistiche.


I marchi di lusso, italiani inclusi, pur essendo meno vulnerabili rispetto al sistema fast fashion, subiranno comunque gli effetti dei dazi. L’aumento dei costi di produzione ed una possibile riduzione della domanda, andrebbero ad influenzare negativamente le vendite negli Stati Uniti, sino ad ora mercato chiave per il settore del lusso. Negli ultimi anni gli USA, soprattutto dopo il Covid, erano diventati il motore principale della ripresa post-pandemica, gli americani, nonostante l’instabilità economica, sembravano ancora propensi ad investire e spendere nel settore del lusso. I dazi imposti da Trump, rischiano di interrompere un trend, che sino ad ora aveva dato ossigeno al settore. Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, da sempre forte esportatore negli USA, nel settore moda potrebbe rischiare perdite significative. Secondo Confartigianato, l’export italiano potrebbe subire un calo tra il 4,3% ed il 16,8%, per una cifra pari a oltre 11 miliardi di euro.
Se provassimo a vedere il lato positivo, potremmo considerare la qualità e la creatività come punti di forza del made in Italy, considerare il momento di pressione a cui sono sottoposti i colossi asiatici, la fiducia ormai traballante nei grandi Hub, tutto questo potrebbe rafforzare l’industria italiana, sfruttando la sua eccellenza e la sua affidabilità.
Sarebbe, però, opportuno uno sforzo, investire sull’innovazione e la sostenibilità, con un decisivo supporto da parte delle istituzioni statali, fondamentale in questo momento. Tenendo conto, anche del fatto che, i dazi potrebbero influenzare negativamente l’adozione di pratiche e sistemi di sostenibilità nel settore della moda.
L’aumento dei costi, infatti, potrebbe disincentivare i consumatori, a causa dei prezzi troppo alti, ad acquistare capi eco-sostenibili , rallentando il percorso verso l’eco-sostenibilità delle imprese legate alla moda. Insomma, il settore del fashion, si trova a fare i conti con una nuova realtà commerciale, alla quale volente o nolente, dovrà adattarsi. Forse i dazi, potrebbero essere una strategia negoziale, destinata a rientrare, oppure segnare veramente l’inizio di un cambio strutturale dei rapporti commerciali a livello mondiale.
Di conseguenza cosa potrebbe succedere? Nessuno può prevedere il futuro, ma di sicuro la diversificazione delle fonti produttive , nuovi modelli di business saranno fondamentali “per stare a galla” ed essere competitivi in un mercato globale in evoluzione. Non dimentichiamo che la moda vive di scambi non solo commerciali, di contaminazioni e cambiamento, scelte politiche che ne limitano il movimento, rischiano di compromettere l’essenza della moda stessa e la sua sopravvivenza.

