
I GIOVANI COREANI E IL LUSSO: IL FENOMENO DELLA “GENERAZIONE MZ” IN ASCESA.
Ottobre 5, 2025LAVORARE IN QUESTO SETTORE E’ DAVVERO UN PRIVILEGIO O LA MODA E’ ORMAI UN MITO IDEALIZZATO?
Lavorare oggi nella moda significa affrontare un viaggio tra glamour, precarietà e consapevolezza del sistema moda: un ambiente privilegiato, una macchina complessa, dove non è oro tutto ciò che luccica. Oltre allo scintillio delle passerelle, dei party abiti da sogno, le ombre sono molte. Spesso un impiego in questo settore, viene percepito dai giovani come un privilegio, un lavoro entusiasmante, fatto di impegni e sfilate internazionali, shooting, viaggi e creatività che prende forma negli abiti e nelle visioni dei direttori creativi di una maison. La creatività dovrebbe essere l’elemento cardine del fashion system ma basta davvero essere solo creativi per accedere a questo mondo? Sui social l’ambiente della moda appare un mondo scintillante ma è davvero così? Oppure ci sono coni d’ombra che tendono a smorzare le luci delle passerelle? Forse è il caso di sfatare un mito o almeno in parte, cosa che già, in modo non molto velato, aveva fatto vent’anni fa circa, l’iconico e intramontabile “Il diavolo veste Prada”. Per accese, anche solo in punta di piedi, a questo settore è necessario avere una devozione totalizzante per la moda, e come diremmo oggi “ci sta”, un enorme spirito di sacrificio e ci mancherebbe ma fino al punto di sottostare a stipendi minimi, spesso pagati in ritardo ed in alcuni casi nemmeno corrisposti? Molti lo definirebbero “dream job” ma in realtà, i nodi ben presto vengono al pettine, la quotidianità di chi lavora in questo settore è fatto di contratti precari, spesso non si parla di veri e propri contatti ma di rimborsi spese e si è in balia di un costante senso di incertezza.



L’ALTRA FACCIA DEL GLAMOUR
Il mito del lavoro con i grandi nomi della moda, tende ad oscurare il fatto che , per molti lavoratori di questo settore, la realtà quotidiana sia fatta di contratti instabili, pagamenti in ritardo e la paura di essere sostituiti dall’oggi al domani. Il modo del fashion, si regge spesso su freelance o lavoratori autonomi senza reali tutele e chi non ha alle spalle una famiglia che li sostiene si trova a dover fare delle scelte: rinunciare a questo lavoro o accettare compromessi penalizzanti. In nome del “sogno” gli orari sono estenuanti, le tutele sono minime e come abbiamo già detto, le retribuzioni sono molto basse o addirittura nulle. Ebbene si, molti professionisti, i così detti “addetti ai lavori”: stylist, fotografi, modelli e stilisti, vivono in un sistema che chiede loro moltissimo ma che in cambio restituisce molto poco. Inoltre per le modelle si aggiunge la pressione relativa all’aspetto estetico, basata su ideali di perfezione fisica che può avere conseguenze sulla salute mentale, non a caso i disturbi alimentari, ansia da performance e “burn out”, sono ormai problemi diffusi, dei quali però, si parla ancora poco. Dire di lavorare nel mondo della moda, genera ammirazione e a volte invidia nell’ interlocutore, perché se ben ricordate: “Un milione di ragazze ucciderebbero per questo lavoro” o ancora “Tutti vorrebbero essere come noi”, ancora una volta il “Diavolo Veste Preda” docet, ma quante di queste ragazze e ragazzi sopravvivono davvero! Molti giovani entrano in questo mondo carichi di speranze e buona volontà ma presto l’illusione svanisce e si ritrovano fagocitati da un sistema che premia più l’apparenza che la preparazione ed il merito. La realtà è diversa dalle aspettative e dai sogni, chi lavora in questo settore, non è detto abbia una vita glamour con un pizzico di dramma, come la nostra amata Carrie Bradshow. Le regole sono ferree e feroci, volenti o nolenti a queste si deve sottostare, in caso contrario, soprattutto se siete all’inizio della vostra carriera, nessuno piangerà la vostra mancanza. Certo l’idea di far parte di un “mondo diverso dal comune” è sicuramente allettante, lavorare però in questo mondo non è propriamente un sogno idilliaco, orari poco flessibili, gavetta e salario minimo, tolgono presto l’alure del sogno e la linea di demarcazione tra questo e lo sfruttamento è molto molto labile.



I SONDAGGI COSA DICONO…..
Vogue Business ha condotto un sondaggio, dal quale emerge, una discriminazione sistemica all’interno del settore, secondo altri report l’80% degli impiegati nel mondo della moda rivela di essere stata vittima di mobbing da parte dei colleghi, il 77% ha subito attacchi verbali, l’84% ha pensato di lasciare il lavoro. Detto questo, quale meccanismo perverso spinge continuamente moltissime persone a voler entrare in questo settore? Forse si ha la convinzione che tutto questo si debba tollerare e faccia parte del gioco, forse nella moda prevale l’idea che si debba lavorare gratis o quasi, dal momento che è già un privilegio far parte di questo mondo così glamour. Nonostante il fatturato dell’industria della moda riporti cifre importanti, ad esempio, per quanto riguarda il Regno Unito, nel 2022 il fatturato totale relativo all’abbigliamento è stato di 58.8 miliardi di sterline, in Italia nel 2023 l’industria del fashion ha guadagnato 111.7 milioni di euro, eppure le persone che lavorano e fanno parte degli ingranaggi di questa macchina complessa, vengono ancora sottopagate e trascurate.
QUANTO COSTA STUDIARE IN UN ACCADEMIA DI MODA?
Altra nota dolente è data dal costo delle accademie e delle scuole di moda, cifre che spesso portano, sin dall’inizio, a fare una selezione tra chi vorrebbe intraprendere questa carriera ma economicamente non può permetterselo. Un reportage recente, ha messo in evidenza che uno stage di moda può costare alle famiglie oltre 37.000 dollari, limitando fortemente l’ingresso e l’inclusione a molti studenti. Viene lecito chiedersi se solo chi ha genitori benestanti, in grado di sovvenzionare gli studi, pagare un affitto per gli studenti fuori sede, o chi abbia agganci socio-culturali che aiutano ad aprire le porte, possano accedere al “sogno” della moda. Le spese elevate vengono giustificate dalla qualità della formazione e un accesso nel mondo del lavoro, se non garantito, con percentuali molto alte. Ovviamente i costi variano in base alla scuola, per una laurea triennale le rette variano tra i 10.000 e 20.000 euro, costi che possono salire aggiungendo master e corsi post-diploma, arrivando anche a 30.000 euro. Alcune accademie mettono a disposizione borse di studio, finanziate da aziende partner, rendendo meno gravose le spese delle famiglie ma non è semplice riuscire a beneficiarne. Tra le scuole di moda più ambite ci sono la Parson di New York, la Central Saint Martins di Londra, l’Istituto Marangoni di Milano, L’accademia del Lusso sempre a Milano e l’Istituto Europeo di Moda sono per citarne alcune. Chi più chi meno, richiedono tutte investimenti molto elevati, tenendo conto di affitti esclusi, così come il materiale scolastico, i viaggi, stage e le collezioni di fine percorso che possono costare ad uno studente anche migliaia di euro, tra tessuti, sartoria e shooting. Sembra un paradosso ma proprio la moda che promuove inclusività e sostenibilità, non investe in un accesso equo alla formazione. Sembra ormai consuetudine che i team creativi e a volte lo stesso ruolo di direttore creativo, siano monopolio di persone che hanno un background privilegiato. Per innescare un cambiamento sarebbe opportuno iniziare a retribuire, con una paga base gli stagisti, avere contratti chiari e diritti garantiti, questo contribuirebbe a ridurre in parte la sensazione di essere precari a vita. Porre l’attenzione sull’ambiente di lavoro, sugli orari e alla salute mentale di chi lavora in questo settore, potrebbe essere il secondo passo.



LA MODA DEVE ESSERE PER FORZA DEMOCRATICA AL SUO INTERNO?
Se la moda davvero vuole essere democratica, è necessario un cambio di paradigma, le porte a questo settore dovrebbero essere aperte anche a chi “queste porte non le può comprare”. Il futuro della moda non può dipendere solo da chi dispone di un capitale per accedervi, ma da chi in primis, ha idee per rivoluzionarla. Oggi la richiesta di trasparenza, rispetto e diritti da parte di chi lavora in questo settore è sempre più presente, creativi indipendenti stanno cercando di reinventare nuovi modelli di business, spazi maggiormente etici ed inclusivi. Anche i brand più affermati iniziano a parlare di work-life balance, denunciando casi di abusi di potere e ponendo una maggiore attenzione alla salute mentale dei propri dipendenti e collaboratori.